Glifozine e HFpEF: l’alba di una nuova era nella gestione dello scompenso cardiaco

A cura di Monica Verdoia

Negli ultimi anni, l’avvento di nuovi farmaci e device ha modificato drammaticamente la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta (HFrEF). 

Al contrario, l’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata (HFpEF), definita come un quadro clinico di scompenso cardiaco in presenza di frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) ≥50% e pressioni di riempimento del ventricolo sinistro elevate, resta ancora oggi una sfida diagnostica e terapeutica.

Per quanto riguarda il trattamento dei pazienti HFpEF, infatti, le linee guida 2021 della Società europea di cardiologia (ESC) del 2021 dichiaravano che “ad oggi, nessun trattamento ha dimostrato di ridurre in modo convincente la mortalità e la morbilità” in questo contesto clinico.

 

In effetti, la maggior parte dei trattamenti farmacologici utilizzati nel trattamento dello scompenso cardiaco con FE preservata non sono supportati da studi dedicati a questo sottogruppo di pazienti, ma derivano la loro indicazione clinica dalla traslazione delle evidenze scientifiche e della esperienza acquisita nell’HFrEF.

Gli inibitori del co-trasporto sodio-glucosio-2 (SGLT2i) rappresentano in questo senso una vera e propria pietra miliare per questa tipologia di pazienti, avendo dimostrato in studi dedicati una significativa diminuzione degli eventi cardiovascolari maggiori, principalmente guidata da una riduzione delle ospedalizzazioni per scompenso.

In particolare, dapaglifozin ha dimostrato benefici clinici in oltre 11.000 pazienti con scompenso cardiaco, di cui i 6263 arruolati nello studio DELIVER, recentemente pubblicato, presentavano una frazione d’eiezione > 40%, inclusi quindi anche pazienti con FE > 60%. Tale vantaggio risultava principalmente guidato da un minor tasso di aggravamento dello scompenso cardiaco e da un miglioramento della qualità della vita, ma anche, per la prima volta, da un trend di minor mortalità cardiovascolare (hazard ratio, 0.88; 95% CI, 0.74 to 1.05).

Differenti sono i meccanismi che potrebbero portare a questo risultato: infatti le glifozine determinano una riduzione del pre e post-carico ventricolare, consentendo di contrastare la replezione di liquidi, ma agiscono anche a livello energetico sui miociti, contrastando i processi ossidativi e le risposte infiammatoria e fibrotica ad essi correlate. Infine, i benefici sulla funzionalità renale e sul controllo glico-metabolico potrebbero contribuire a ridurre le comorbidità e migliorare quindi la prognosi, sottolineando sempre più come HFpEF debba essere considerato una patologia multisistemica.

Certamente, ulteriori studi sono ancora necessari per una migliore definizione di tali meccanismi, ma l’avvento dei SGLT2i sulla scena del trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco a FE preservata potrebbe portare ad una vera e propria svolta nel loro trattamento, e il loro utilizzo routinario consentirà di chiarire meglio gli aspetti fisiopatologici di questa comune ma grave patologia cardiaca.